19 maggio 2009

Respingimenti e vescovo Zenti

Nei giorni scorsi sono apparse su “L'Arena” tre bellissime lettere sul problema dei migranti respinti in Libia dal nostro Governo.
Denunciano la crudeltà del provvedimento. Lettere firmate.

Una firmata Massimo Gerosa descrive impietosamente quali condizioni di non vita attendano in Libia i disperati respinti dalle nostre motovedette, disperati molti dei quali sicuramente aventi diritto all'asilo politico secondo le convenzioni internazionali.

“Nei campi libici-scrive Gerosa-i migranti etiopi od eritrei di religione copta vengono torturati dai carcerieri libici fino alle esecuzioni sommarie. Dove- dati confermati dalla Charitas, Medecins sans Frontieres, Amnesty etc.-la maggior parte delle donne e molti dei minori vengono sistematicamente e ripetutamente violentati” e, nel viaggio di ritorno verso i Paesi dai quali erano fuggiti, “stipati in conteiner nel deserto per due o tre giorni senza viveri e acqua e poi abbandonati lungo le frontiere con il Niger, il Ciad il Sudan o Egitto o venduti ai mercanti di schiavi”.

La seconda firmata Enrico Zampini dice: “Abbiamo il dovere, non solo come credenti ma come esseri umani almeno di gridare la nostra contrarietà...lo stanno facendo sacerdoti e vescovi, don Luigi Ciotti, l'Arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi, spero lo facciano i nostri parroci nelle omelie domenicali”.

La terza firmata Lorenzo Bolomini è più esplicita per quel che riguarda Verona e tocca un tasto delicato. Dice infatti. “ Dopo aver letto su “L'Arena” di domenica 10 il simpatico e istruttivo raccontino su nonno Tita e Checo, scritto da monsignor Zenti, ho pensato che in un momento nel quale la caccia ai clandestini si sta facendo, anche per motivi elettoralistici, crudele e serrata, sarebbe molto utile che il nostro vescovo, erede di un vescovo africano come San Zeno (forse anche lui arrivato in Italia come clandestino?) spiegasse ai veronesi, dalle pagine del nostro quotidiano, che l'accoglienza fa parte dei valori cristiani...insomma vorrei che monsignor Zenti unisse pubblicamente la sua voce a quella di tutti i vescovi italiani, da sempre, e oggi più che mai, decisi nel sostenere non solo il valore e dovere cristiano dell'accoglienza ma anche il valore della multietnicità”. E prosegue. “ Mi perdoni, il nostro vescovo, se ritiene che le mie parole siano una presuntuosa e indebita invasione di campo, ma le ho scritte perché credo nella forza della sua autorità religiosa e morale “
Fin qui le lettere.

Anche la CEI, la Commissione Episcopale Italiana, a Roma, ha criticato l'iniziativa del Governo sui respingimenti.

L'altro giorno, domenica, in prima pagina su “Verona Fedele”, il settimanale della Diocesi veronese, il direttore scriveva.
“..... vengono respinti ancor prima di aver verificato se vi fosse a bordo chi avrebbe potuto godere dello status di rifugiato politico oltre alla presenza di donne in stato di gravidanza o di persone che necessitavano di soccorsi sanitari...il risultato è stato si efficace ma, per certi aspetti, addirittura disumano”.

Bene. Però le lettere apparse su “L'Arena” pongono un problema e, soprattutto due, di queste lettere, avanzano una richiesta al clero e al vescovo di Verona.
Perché qui siamo a Verona e il settimanale “Verona Fedele” non si chiama “Italia Fedele” ma, appunto, “Verona Fedele” e qui, a Verona, c'è il sindaco Tosi che alla notizia della approvazione in Parlamento della famigerata legge per i respingimenti non ha saputo trattenere la sua gioia e la sua soddisfazione proclamando di essere stato il primo a chiederla quella legge rivendicandone la primogenitura.

Qui, a Verona, c'è il capogruppo della Lega al Senato della Repubblica, il senatore veronese Bricolo, che, in ogni sua dichiarazione, accentua il contenuto discriminatorio della politica governativa ed esalta i risultati di questa legge. Qui, a Verona, c'è la Giunta di destra che dà la caccia ai senza tetto, che toglie le panchine dai giardini per impedirne l'uso agli immigrati o che le arricchisce di strumenti atti a renderne impossibile l'uso... e altro ancora.

Il vescovo Zenti, l'altro giorno, domenica, circa dieci giorni dopo le tre lettere apparse su “L'Arena”, nel suo consueto intervento sulla prima pagina comincia così. “Se la schiavitù è una delle peggiori condizioni che possono toccare in sorte all'uomo..” e subito il lettore pensa: meno male ora dirà qualcosa sui disperati respinti nell'inferno dal quale erano fuggiti. E invece no perché continua così: “ potremmo rallegrarci almeno del fatto che da qualche secolo la schiavitù è tramontata e praticamente scomparsa peccato-continua il vescovo- che nel frattempo siano subentrate altre forme di schiavitù: la droga, l'alcol, il fumo, la pornografia, il sesso sfrenato e depravato”. Pensa all'Istituto Provolo e all'inchiesta in corso?

Comunque parla d'altro.

“Hic Rhodus, hic salta”( o saltus). Cioè: qui è Rodi qui devi saltare. Così Esopo, in una delle sue favole, dove un atleta afferma di aver fatto un grandissimo salto mentre era a Rodi, e di poter esibire dei testimoni; al che uno degli ascoltatori gli dice che non è necessario chiedere ai testimoni, basta che faccia il salto, adesso, lì dove si trova.

Oggi Rodi è a Verona. Qui bisogna saltare, cioè parlare, denunciare ad alta voce.

In fondo è questo quel che chiedevano i tre cittadini con quelle lettere a “L'Arena”. Ma non hanno avuto risposta.

Dicono che Zenti sia amico di Tosi. Non è una spiegazione o, se lo è, non è una buona spiegazione.

Giorgio Bragaja

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