24 maggio 2009

Lettera aperta al sindaco Tosi


Egregio Signor Sindaco,
ultimamente, almeno da quanto avverto da giornali e tv, mi sembra che lei sorrida molto spesso, e mi sono più volte chiesta cosa ci possa essere di così allegro nella vita presente della nostra città. Immagino che la stima e l'apprezzamento dei nostri concittadini la aiutino ad affrontare con ottimismo il difficile compito di amministrare una realtà così complessa e lacerata da molte contraddizioni. Mi congratulo sinceramente con lei per la sua indubbia capacità di catturare simpatie e consensi; voglio tuttavia sperare che le possa essere altrettanto utile una voce fuori dal coro che vorrebbe farla riflettere su una questione molto attuale e di vitale importanza: la sicurezza cittadina e la prevenzione della criminalità, in particolare quella rivolta contro le donne.
Qualche tempo fa, sono uscita da teatro dopo mezzanotte e mi sono diretta a recuperare la macchina parcheggiata dalle parti di ponte Pietra; poiché faceva molto freddo, era tardi e avevo fretta di tornare a casa, ho scelto di prendere una scorciatoia, attraversando così una piccola area verde vicino all'argine, deserta e male illuminata.
Mi sono imbattuta così in qualcosa che non avrei mai voluto vedere.
Per la prima volta ho visto le nostre vecchie, larghe e lunghe panchine di legno modificate in un modo di cui stentavo a capire il senso: come mai, proprio al centro del sedile, era stato piazzato un enorme bracciolo di metallo che divide il pianale praticamente a metà? Ho guardato le altre panchine lì attorno: erano tutte così. Mentre fissavo attonita lo strano panorama, ho scorto il corpo infagottato di un vecchio che dormiva un po' più in là, gettato come un sacco sull'erba ghiacciata. Ho finalmente collegato l'uomo a terra e la panchina "a dorso d'asino" (così si chiamano, mi hanno spiegato poi), e quando ho capito a cosa servivano quegli strani braccioli, ho sentito una vergogna repentina, oscura e cieca salirmi alla testa.
Non è difficile spiegarle perché ho provato vergogna. Verona non è mai stata una città particolarmente accogliente. Mia madre, una "terrona" arrivata qui all'inizio degli anni '60, me l'ha più volte confermato, e anche lei si è dovuta fare alcune notti sulle panchine, quando non aveva un soldo e nessuno le dava una mano, malgrado fosse sola al mondo e nemmeno maggiorenne. Mi vergogno, come cittadina veronese, di abitare in una città che in più di quarant'anni non ha saputo far nulla per se stessa, e la invito a riflettere sul fatto che da quando lei è sindaco non è stata affatto ribadita l'idea che saper accogliere e soccorrere la povertà è indice di civiltà e signoria, ma anche di saggezza e di lungimiranza politiche.
Tiro in ballo la lungimiranza per spiegarle il perché, subito dopo la vergogna, sono stata invasa da una sensazione di intensa paura. Se le confessassi che avevo paura dell'uomo addormentato o del fatto di trovarmi in un parco da sola di notte, lei certo mi potrebbe capire molto bene; in realtà, strano a dirsi, io avevo paura della panchina. Come mai?
Signor Sindaco, lei che ci parla di sicurezza e di ronde, dovrebbe riflettere invece più a fondo su una cruda e chiara realtà: nessuna norma e nessun dispositivo - per quanto ingegnoso - hanno il potere di eliminare il bisogno che hanno gli esseri umani di avere un luogo in cui ripararsi. Chi ha bisogno di una panchina per dormire è stato già abbandonato da tutti ed è stato già scacciato da ogni luogo, è arrabbiato e non ha più nulla da perdere, niente ha ricevuto e tutto gli è stato portato via. Cosa gli può impedire di esplodere in una rabbia cieca, di diventare violento come una bestia ferita, prendendosela, ovviamente, con chi gli sembra ancora più debole e vulnerabile di lui?
Ecco perché, malgrado lei cerchi di rassicurarmi dicendomi che le ronde mi proteggeranno, da quando ho visto quelle panchine io so di essere in pericolo. Vedendo quell'uomo dormire a terra, ho capito in pochi attimi tutta l'inutilità della repressione, del controllo ossessivo del territorio, della difesa civica ecc. ecc. Sono tra coloro che credono, con Etty Hillesum (la quale, le ricordo, ha detto queste cose poco prima di morire in un campo di concentramento): "ogni atomo di odio rende il mondo più inospitale" e quindi chi semina diffidenza e intolleranza è destinato inevitabilmente a raccogliere violenza e odio.
Perciò le chiedo, Signor Sindaco, di togliere quei vergognosi dorsi d'asino dalle nostre panchine per offrirle, se almeno non sappiamo fare di meglio, a coloro ai quali non diamo un vero letto. Questo sarebbe già un piccolo antidoto contro la violenza che sta invadendo le nostre strade; se ne potrebbero, ovviamente, trovare altri e molto più efficaci.

Inoltre le faccio secondariamente notare che su questo nuovo modello di panchina risulta impossibile baciarsi ed abbracciarsi, ostacolati in tutto e per tutto dalla sbarra di metallo. Come lei ben sa, ogni veronese di entrambi i sessi ha trascorso almeno una tappa della sua vita amorosa sulle panchine di quella che nel mondo, paradossalmente, è conosciuta come "la città dell'amore".
Le nostre panchine possono tornare ad essere i luoghi dei nostri convegni amorosi, come lo sono state da decenni a questa parte?

Grazie per la cortese attenzione, distinti saluti

Monica Benedetti

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